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Quando meno te lo aspetti, capita qualcosa nella tua quotidianità che ti cambia in parte o totalmente, quello che avevi vissuto fino al giorno prima. 

Innamorarsi o “fall in love” come dicono gli americani, è capitato a chiunque. Un amore sboccia perché si incontrano due poli che magicamente si attraggono e che, quello che prima vivevano da soli, decidono di condividerlo insieme nella loro quotidianità. 

E’ capitato anche a me di essere “fall in love”, le prime pulsioni sentimentali per il gentil sesso, capitate verso i 14-15 anni, oppure l’amore per la squadre del cuore che è rimasta tale fino ad oggi, la mia Roma Calcio. Ma già qualche anno prima del mio primo flirt amoroso con una bresciana in vacanza a San Benedetto del Tronto nel lontano 1978, mi ero innamorato di altro, la disciplina sportiva che poi è stata la mia fonte di lavoro per ormai circa 42 anni, 33 come professionista, la Pallacanestro. 

Iniziai basket casualmente a 12 anni, grazie ad uno zio acquisito, ex giocatore nelle giovanili romane e poi diventato uno dei migliori insegnanti di fondamentali che io abbia mai conosciuto: Claudio Massacesi. 

In un pranzo di famiglia, mi disse se avevo piacere di andare a fare un allenamento in un college storico romano dove lui  insegnava, il Marcantonio Colonna. E da lì inizio la mia storia baskettara. 

Non vi tedio con i miei trascorsi da giocatore. Vi dico solo che arrivato ai 17 anni, in un articolo fatto da Superbasket, venni definito tra l’altro come “guardia tenace e combattiva”. Era un modo elegante ed educato per dire “sei una mezza cartuccia ma hai grande carattere”!

Capito che non sarei diventato il Michael Jordan de noantri, appesi le scarpe al chiodo ed iniziai il mio percorso da istruttore. Minibasket, giovanili, come prassi di quasi tutti i coach che iniziano il percorso da “istruttore/allenatore”, per me conditi anche dalla rima esperienza in un settore femminile del Cus Roma, anche come vice della prima squadra all’epoca in serie B e poi A2. 

Capii presto che il mondo femminile del basket era di un certo tipo di pallacanestro e mi spostai subito verso la maschile. Una vera pietra miliare fu per me la Blue Star di Maurizio Flamminii e del citato Claudio Massacesi. Capii in quegli anni e con quel gruppo di ragazzi che non si lavorava solo sulla tecnica ed i fondamentali ma anche sulla gestione di un gruppo che giocava per un campionato Juniores di altissimo livello. Fu veramente formativo e mi apri gli occhi in maniera decisiva in chiave futura. 

Le esperienze successive furono tante, a Roma ma anche fuori Roma, nei tanti campionati che mi hanno visto in lungo e largo sulla penisola, in tutte le categorie, a tutti i livelli, con molte soddisfazioni e pochi rimpianti. 

Mi ritengo un privilegiato per aver avuto la fortuna di aver avuto tanti maestri di basket come Corradini, Massacesi, Flamminii, Cipriani, Di Fonzo, Bianchini, Caja, Pancotto, Lardo, uomini ed allenatori con i quali ho lavorato e che mi hanno lasciato, chi più chi meno, qualcosa che mi ha aiutato nella mia formazione come istruttore ed allenatore. 

Si chiede sempre “quale è stata la squadra che ti è rimasta più nel cuore? Il risultato al quale sei più legato?”. Beh difficile fare una classifica per uno che allena dal 1981 ed è professionista dal 1990. Però c’è sicuramente una squadra ed un risultato che mi sono rimasti nel cuore e non potrebbe essere altrimenti. 

Gli anni a Roma con il Messaggero Basket, le vittorie a Montecatini e Pesaro, l’esperienza alla Loyola University di Chicago, la travolgente annata a Reggio Calabria, la salvezza del campionato di Chieti,  e tante altre, diverse, ma sempre coinvolgenti. Ma quella che resterà sempre nella mia mente è la stagione alla Virtus Roma de “La squadra che non c’era”. 

Nel 2013 la Virtus Roma raggiunse la finale scudetto con una squadra che, in sede di mercato estivo ed all’inizio della stagione, avrebbe dovuto salvarsi al più presto. 

Partecipammo alle finali di Coppa Italia fino alla semi finale, giocammo quasi tutto il campionato in testa alla classifica, disputammo una serie di quarti di finale, semi finale e finale che fecero riavvicinare il pubblico romano alla squadra come ormai non accadeva più da anni. File interminabili ai botteghini per accaparrarsi i biglietti, un happening che richiamava i fasti di un basket romano che si era un pò perso nei meandri di tanti anni addietro.

Una finale che ci vide perdere lo scudetto contro la Montepaschi Siena, scudetto che poi venne revocato per quanto dei fatti accaduti e di cui sappiamo. 

Per una volta era accaduto quanto nella maggior parte dei cat non accade mai: essere profeta in patria.

Pensando che quella squadra di cui sono stato tifoso a casa mia, seduto sulle tribune del PalaEur di Valerio Binachini e Larry Wright a fare il tifo, era diventata la squadra che ho allenato e guidato fino alla finale scudetto, beh non capita spesso. 

Un amore così grande, cominciato per casualità e che, ancora oggi, mi anima di passione come fosse il primo giorno. 

Ad (mia) majora!